English

mercoledì 28 marzo 2018

Idrogeochimica: il bacino del lago Inle - Myanmar


Dal 2015 un gruppo di ricerca coordinato dalla Prof. Elisa Sacchi e composto dalla Dott.ssa Viviana Re e dal Prof. Massimo Setti, del Dipartimento di Scienze della Terra e Ambiente, e dalla Dott.ssa Myat Mon Thyn dell’Università di Mandalay (Myanmar) si sta occupando della caratterizzazione idrogeochimica del lago Inle, in Myanmar.



Il bacino idrografico del lago Inle è una zona di grande importanza ambientale, ecologica ed economica per le popolazioni locali ed è una delle attrazioni turistiche più visitate del paese.

A causa delle intense attività umane, il lago è seriamente minacciato da pressioni antropiche sia sulle sponde del lago che nel suo bacino idrografico. È infatti interessato da un grave abbassamento del pelo libero del lago, dovuto, da un lato, ad un aumento della sedimentazione causata della deforestazione nello spartiacque e, dall'altro, all'espansione dei giardini galleggianti.

I primi risultati della ricerca, sono stati recentemente pubblicati sulla rivista Applied Geochemistry ed hanno permesso di evidenziare che le acque sotterranee contribuiscono al lago Inle mescolandosi con la ricarica locale nella falda acquifera e alimentando la rete di canali artificiali creati per scopi di bonifica.

Al momento il gruppo di ricerca è attualmente impegnato in una caratterizzazione socio-idrogeologica dell’area di studio, per meglio comprendere la relazione reciproca tra acqua e società nella regione.

Per maggiori info leggi questo post

giovedì 8 marzo 2018

UN TUFFO DI 780 KM DELLA CROSTA OCEANICA: ECCO DOVE NASCONO I DIAMANTI

Un team di geologi italiani (Università di Padova, Università di Pavia e CNR-IGG Padova), canadesi (University of British Columbia e University of Alberta), inglesi (University College of London) e sud africani (University of Cape Town e Rhodes University) studiando una inclusione intrappolata in un diamante hanno definitivamente dimostrato ciò che finora i  geofisici avevano solo potuto ipotizzare in modo indiretto: la crosta oceanica e il carbonio superficiale possono essere trasportati in subduzione fino a grande profondità nella Terra, raggiungendo il mantello inferiore (660 km).
Per i geologi i diamanti sono “costosi” e resistenti contenitori che forniscono informazioni dirette sulla Terra profonda, dove si formano e possono intrappolare piccoli frammenti di altri minerali che poi trasportano inalterati fino alla superficie terrestre, cioè fino ai nostri laboratori.

La scoperta, pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica “Nature” (Volume 555 pages 237-241, www.nature.com/articles/nature25972) di cui è coautore il Dr. Matteo Alvaro del Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Pavia, parte dalla famosa miniera Cullinan in Sud Africa, dove 140 anni fa venne estratto il più grande diamante mai ritrovato (3107 carati). Qui recentemente è stato trovato anche uno speciale diamante “super-deep” (super profondo) che conteneva la prima inclusione naturale di un minerale appartenente alla famiglia delle “perovskiti”.



Questo minerale, forma di altissima pressione del silicato di calcio (CaSiO3-perovskite), non è stabile sulla superficie terrestre ma si trova solo oltre i 660 km di profondità. Si stima che nel mantello terrestre siano seppellite mille miliardi di miliardi di tonnellate (1021 tonnellate) di CaSiO3-perovskite, facendone il quarto minerale più abbondante sul nostro pianeta. È anche molto importante dal punto di vista geodinamico perché trasporta elementi radioattivi come uranio e torio nel mantello inferiore, contribuendo alla produzione di calore che alimenta la convezione del mantello e la tettonica delle placche.
Analisi chimiche dell’inclusione e del diamante hanno mostrato che entrambi provengono da 780 km di profondità ma la materia prima che li costituisce in realtà viene originata sulla superficie terrestre. Questa scoperta rappresenta quindi la prima chiara evidenza che parti della superficie terrestre (la crosta oceanica con il suo carico di carbonio) vengono riciclate attraverso la subduzione fino al mantello inferiore, cosa che finora era stata solo dedotta da immagini sismiche e modelli geodinamici.


Congratulazione Matteo!